di Federica Gambacorta
Giulia sta percorrendo in bicicletta il cavalcavia sopra la superstrada che sale verso i monti e poi va giù, a sud.
Passano poche macchine, è ancora presto per la fila del rientro.
Davanti a lei, il verde. Le colline sullo sfondo, le nuvole illuminate dal sole di un tardo pomeriggio di settembre, i campi che sono più forti della strada, quasi impercettibile in mezzo alla preponderanza delle altre sfumature.
Di colpo spunta il solito sorriso, memoria di una sé stessa bambina circondata dalle bellezze della natura. Soprattutto a quest’ora la luce le ricorda la campagna vera, quella della sua infanzia, dove le vie erano di ghiaia bianca e i colori delle stagioni la cullavano nel suo mondo.
Scendendo le appaiono i campi da calcetto, brulicanti di ragazzini vocianti con la palla ai piedi; gira a destra, verso casa.
Lo sguardo torna di nuovo al grigio e il sorriso si spegne.
Si sente sciocca ma è un pensiero che la avvolge, nel quale si sente sprofondare.
Gli edifici svettano là, dall’altra parte, beffardi. Qualche insegna ammiccante non li rende più gradevoli. E questi sono solo i primi, quelli ‘belli’ dei negozi.
Al di là della prima linea cominciano le fabbriche, il grigio.
Pedala veloce verso casa, cercando di passare nel piccolo sentiero di fianco all’asfalto. L’ultimo tratto, con la strada circondata dai campi e orti, la placa un po’.
Eppure non era lei quella che diceva che il sole pomeridiano di settembre rendeva poetica qualsiasi cosa?
Da qualche tempo si sente più inquieta. La notte a volte si sveglia e non riesce a smettere di pensare alla vecchiarella. La immagina seduta in cucina, vicino alla stufa, a guardare fuori immersa nel rumore. Si chiede se riesca a concentrarsi sulla piccola distanza che separa la casa dove abita dagli edifici che la costeggiano e a non vedere oltre, ad isolarsi.
Giulia ricorda il giardino in primavera, pieno di giunchiglie sbiadite. E la polvere che, oggi come allora, ricopriva tutto: il prato, gli alberi, qualche oggetto sparso qua e là, il cartello bianco con la grande scritta ‘vendesi’, piazzato lì a mo’ di sfida.
La prima volta che passando lì davanti l’aveva vista, era vicino alla porta, con uno scialle sulla schiena curva, piccola e piegata al confronto dei grandi colossi intorno; la casa come incastonata tra loro, inspiegabilmente indenne e diversa dalle altre abitazioni della zona industriale che, in qualche modo, mantenevano un aspetto curato.
Era piena di grigio.
Da quel giorno la preoccupazione per la sua situazione l’avvolge. Continua a chiedersi se ha una famiglia, un altro posto dove andare oltre a quella piccola casa tra le fabbriche. Di sera soprattutto, questo pensiero la agita tanto e di notte vorrebbe svegliare Carlo per farsi calmare dalla sua razionalità. Si ricorda quando, da bambina, andava con la famiglia a trovare la nonna paterna, in una grande città. L’ odore delle strade, dei treni, del porto, tutto le sembrava affascinante ma dentro aveva come una sorta di impulso ad allontanarsi, sentiva che non avrebbe potuto resistere oltre agli odori, al rumore ed alla sporcizia delle strade.
La mattina seguente passa di nuovo in bicicletta davanti alla casupola ma sembra che non ci sia nessuno. Poco più avanti arriva al grande murales del leone, un fiero baluardo pieno di colore che le dà un po’ di speranza in mezzo al grigio.
Il ragazzo dai profondi occhi azzurri che qualche mese prima l’aveva disegnato la salutava guardandola sorpreso, come se non riuscisse a credere che qualcuno avesse il coraggio di passare in bicicletta proprio lì, tra camion e polvere.
Aveva lunghi capelli rasta, un mare di bombolette appoggiate su un cavalletto malconcio su cui si arrampicava tracciando veloce le linee: aveva chiaro in testa quello che voleva ottenere.
Si era spesso chiesta se anche per lui quell’immagine rappresentava un’invasione, un segno di ribellione in quegli spazi tetri.
Dalla strada che lei percorreva prima spuntavano delle grandi spirali nere e bianche, sul lato dello stabile, poi, sul davanti, il grande viso dell’animale, con uno sguardo che le sembrava cambiasse espressione a seconda delle giornate.
Anche oggi si concede una piccola fermata a scrutarlo, e poi via, veloce; arriva trafelata al supermercato, infila la divisa e comincia subito a mettere a posto la corsia dei detersivi.
La musica in sottofondo la distrae e la mattinata passa veloce. C’è una nuova cassiera, un’altra giovane ragazza con un sorriso incerto. Durante il turno Giulia si isola; le risate delle colleghe in sottofondo, una radio locale con canzoni italiane molto lontane da lei, qualche sorriso per le clienti più anziane ed il movimento ripetitivo della sistemazione degli scaffali.
È quasi rassicurante, la routine. La mattina che sa di dover sistemare le corsie si sente più tranquilla sapendo che potrà perdercisi dentro.
Le altre, tutte più giovani, parlano dei fidanzati, qualcuna ha un bimbo piccolo, nessuna figli grandi come lei. Il titolare è un signore distinto, si aggira tra le corsie cortese ma pignolo; scherza ma non troppo, a volte non si capisce dove voglia parare con le sue richieste.
La moglie viene tutte le mattine a fare la spesa, il sorriso da padrona che pretende. Al banco proprio si sbizzarrisce: ‘35 gr di prosciutto sgrassato, mezzo cucchiaio di stracchino, oh no ma forse è poco, mi riapri il pacchetto per farmi vedere, mi fai vedere tutti i trentacinque panini per scegliere il migliore, voglio un po’ di parmigiano grattugiato, 20 gr, me lo grattugi fresco?’. Cose così.
All’uscita Giulia decide di non passare dal cavalcavia ma prende per la stradina che passa sotto la superstrada; pedalando si concentra sulle colline, le nuvole, la mente si apre ed è arrivata.
Di fianco alla folta siepe dietro all’isola ecologica incrocia la signora del 116 con i bambini in macchina, stanno di certo tornando dall’asilo; li sente ridere tra loro dai finestrini aperti, una manina spunta a prendere l’aria.
A casa, vaga tra le stanze iniziando qualche faccenda senza terminare nulla, prepara la cena, aspetta che Carlo arrivi e che la sua voce ed i suoi racconti sulla giornata trascorsa riempiano il silenzio.
Mentre si prepara per andare a letto torna quella vocina noiosa nella sua testa, a chiederle il perché di questo suo concentrarsi sulle esistenze degli altri, quella della vecchiarella e delle altre persone che in qualche modo incrocia nelle sue giornate.
Un pensiero da scacciare velocemente.
La mattina seguente arriva in anticipo al supermercato, la porta è ancora chiusa e una delle colleghe è lì fuori a fumare una sigaretta; si sorridono senza parlarsi; la ragazza guarda qualcosa al cellulare, Giulia si concentra con finta attenzione sugli annunci strampalati attaccati alla bacheca di fianco all’ingresso. Arriva il proprietario, si inizia: oggi deve controllare le scadenze del banco frigo, troppo poco fisico per la sua inquietudine, avrebbe preferito qualcosa di più pesante.
Dopo un’ora è già persa, di nuovo, nei suoi timori sul grigio che avanza.
Per distrarsi si tuffa nell’immagine del leone, lo vede che esce dal muro, immenso, e comincia a camminare nelle strade tra le fabbriche lasciando scie di mille colori. Gli impianti al passaggio si spengono e il rumore comincia a diminuire.
Sorride tra sé; la casa della vecchiarella ora è piena di fiori, con le persiane azzurre e la ringhiera verde brillante; il giallo intenso delle giunchiglie ricopre il prato, qua e là svetta qualche tulipano rosso.
La signora se ne sta lì, con lo scialle sulle spalle, si guarda intorno serena. È magnifico.
Durante la pausa, ancora immersa nella sua visione, va in bagno a lavarsi le mani.
La ragazza nuova si sta truccando davanti allo specchio; Giulia la guarda ripassare più volte il nero sotto gli occhi.
Lo sguardo le va sul braccio che spunta dalla manica con un tatuaggio che lo ricopre per intero: è un leone, tutto grigio. Nessun colore.
Una fitta le scombussola lo stomaco, il peggio è inevitabile.
L’Autore
Federica Gambacorta è nata a Fossombrone nel 1978 e vive a Fano. Quella per i libri è una passione di famiglia che la accompagna fin da bambina. Dopo la maturità scientifica si laurea in Lingue e Letterature Straniere all’Università di Urbino; lavora da ormai vent’anni tra numeri e conti continuando, però, a preferire le parole. Nel tempo la lettura e la scrittura sono diventate mondi da abitare e scoprire, scandiscono le sue giornate tracciandone il senso e determinandone il racconto. Dal 2022 collabora con Il Cappuccino delle Cinque.
Il leone. Racconto di Federica Gambacorta – Il Cappuccino delle Cinque
di Federica Gambacorta
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Autore: Federica Gambacorta