Cattedrale Raymond Carver sitook

‘Cattedrale’ di Raymond Carver, la realtà cruda e illuminata

Cattedrale (minimum fax) di Raymond Carver è uno di quei libri che spesso riprendo e rileggo con una familiarità mai scontata e sempre capace di colpirmi. Raccolta di dodici racconti, prende il nome da uno di essi “Cattedrale”; l’autore la definisce “diversa da qualunque altra cosa abbia mai fatto prima di allora. Tutti i racconti inclusi in questo libro sono più pieni, più ricchi, in un certo senso. E più generosi.”

Finalista al Premio Pulitzer nel 1983, il libro rappresenta infatti la prima testimonianza della poetica di Carver dopo l’allontanamento dal suo editor storico, Gordon Lish, che con i suoi canoni minimalisti aveva ampiamente rivisto i testi dell’autore che amava essere definito piuttosto un “precisionista”, alla ricerca di una prosa che “deve reggersi in equilibrio, ben eretta da capo a piedi, come un muro decorato fin giù dalla base”.

‘Cattedrale’, la raccolta

I racconti sono piccoli squarci nella vita di personaggi che potremmo definire comuni, con la loro vita segnata dai problemi legati al lavoro, all’alcolismo, alle relazioni.
Il narratore non offre soluzioni ed essi restano immersi nella solitudine, nelle quotidianità e dipendenze. Al tempo stesso però la capacità narrativa di Carver ti porta, nel racconto dettagliato di un episodio, di un dialogo, dei gesti, a scendere ad un livello profondo, nel quale riesci proprio a sentire gli stati d’animo. Ed è come se ti dicesse “ecco, questa è la vita, cruda, difficile” non resta che immergersi a pieno per poter essere in grado di cogliere quello che di buono c’è, una sensazione, una persona accanto, un momento migliore degli altri nella giornata.
È una scrittura potente.

‘Penne’

Tra tutti sono principalmente due i racconti che rileggo più spesso, il primo è “Penne”.
Una coppia va a trovare l’amico di lui nella casa in campagna dove vive con la moglie, il figlio di pochi mesi ed un pavone di nome Joey. La narrazione procede con la descrizione della serata ed è permeata da un senso di imbarazzo ma anche di agitazione per la inusuale presenza del pavone che alla fine viene fatto entrare in casa e che continua a fissare i due ospiti con i suoi occhi rossi. Il bambino ha “un faccione rosso, occhi a palla, una fronte ampia e certe labbrone cosi. (…) Dire brutto era perfino fargli un complimento”. La moglie dell’amico, una donna paffuta e sempre rossa in volto, tiene in bella vista, come un soprammobile prezioso, il calco dei suoi vecchi denti storti ed irregolari. Sembra una serata strana, da chiudere in fretta, ma invece pian piano tutti si rilassano. Il cibo è ottimo, il pavone addirittura gioca con il bambino infilandogli il becco sotto la maglietta e scuotendo la testa per farlo ridere.
Il protagonista, Jack, ammette di sentirsi infine “riconciliato con quasi tutti gli aspetti della vita. Non vedevo l’ora di rimanere solo con Fran per dirle quello che stavo provando (…) Ho espresso il desiderio di non dimenticarmi mai di quella serata, di non perderla. E’ l’unico mio desiderio che si è avverato. Ed è stata una disgrazia per me che si sia avverato. Ma naturalmente, in quel momento non potevo certo saperlo.”
Una ventina di pagine, il racconto di una cena tra due amici e le loro mogli, uno squarcio sulle vite di queste due coppie. Dietro, la difficoltà delle relazioni, della quotidianità, i cambiamenti del tempo, di quelle “fasi” che passano, una dietro l’altra, ridimensionando ed aggiustando alcune cose e complicandone altre.

‘La casa di Chef’

Anche in questo racconto troviamo una coppia che si è allontanata a causa dei problemi di alcolismo di lui. Un amico comune offre al protagonista la possibilità di vivere in una sua casa vicina al mare ed egli riesce a convincere la moglie a raggiungerlo; i ritmi tranquilli di una vita semplice li riavvicinano: “Certi giorni io e Wes andavamo a pescare trote in uno dei laghetti d’acqua dolce lì vicino. (…) Certe volte mi toglievo il cappello e mi addormentavo su una coperta stesa accanto alla mia canna. L’ultima cosa che mi ricordavo erano le nuvole che mi passavano sopra la testa e se ne andavano verso la valle. La sera Wes mi prendeva tra le braccia e mi chiedeva se ero ancora la sua ragazza.”

Un giorno il proprietario di casa, Chef, viene a dirgli che purtroppo devono andarsene perché la figlia ha bisogno di trasferirsi lì e tutto sembra precipitare. Tornano i tic, le espressioni che un tempo erano presagio dei “brutti momenti”. Ripensano al passato, sentono ancora la voglia di ricominciare tutto da capo minata al tempo stesso dalla consapevolezza di ciò che sono.
I gesti stessi, anche se hanno ancora un mese davanti, diventano ormai preludio della conclusione di quel periodo sereno: “Wes si è alzato ed ha tirato le tende. Il mare è sparito, cosi, da un momento all’altro”.
Accanto resta però la vicinanza: “sono contento che ti sei rimessa quella fede al dito. Sono contento che abbiamo passato questo periodo insieme.”

Autobiografia ed immaginazione

Parlando della sua scrittura Carver spiega come scaturisca sempre dal mondo reale: “nessuna delle storie che racconto io è veramente accaduta. Ma c’è sempre un elemento, qualcosa che mi è stato detto o che ho visto io stesso, che funziona da punto di partenza.”
L’alcolismo, i problemi lavorativi e di conseguenza economici, la pesantezza delle relazioni familiari, sono tutti temi di cui l’autore parla avendoli vissuti in prima persona, ed i luoghi in cui immerge i suoi racconti sono quelli della sua infanzia e della maturità.
Parte quindi dalla propria autobiografia, dal proprio vissuto che tornano tramite una frase, un’immagine, un rimando che stimola la costruzione di un racconto permeato dal suo grande talento: “La cosa migliore è metterci un po’ di autobiografia e un sacco di immaginazione”.

Addentrarsi in Carver

Carver-Country-ridokPer addentrarsi ancora di più in questo autore consiglio il libro “Carver Country. Il mondo di Raymond Carver” (pubblicato nel 1990 dalla casa editrice Charles Scribner’s Sons ed in Italia nel 2013 da Giulio Einaudi Editore), una raccolta di testi dello scrittore e di fotografie di Bob Alderman che ha curato il libro insieme a Tess Gallagher, poetessa e sua seconda moglie. I ritratti di Raymond Carver e delle persone che hanno fatto parte della sua vita, accompagnati anche da alcune sue bellissime poesie, vengono incastonati tra le foto in bianco e nero dei luoghi nei quali ha vissuto. Per chi come me ama vedere e non solo immaginare i paesaggi nei quali sono immersi i racconti, è interessante anche la visione del documentario “Sogni di Grande Nord” di Paolo Cognetti, una sorta di pellegrinaggio nei luoghi simbolo di alcuni grandi scrittori tra i quali lo stesso Carver; la prima meta è proprio Port Angeles dove l’autore ha vissuto e dove si trova la sua tomba sulla quale è inciso il suo “Ultimo frammento”:

E hai ottenuto quello che
volevi da questa vita, nonostante tutto?
Si.
E cos’è che volevi?
Potermi dire amato, sentirmi
amato sulla terra.

Poche ma dense parole, testimonianza della sua grande capacità di espressione.
Il protagonista dell’ultimo racconto, Cattedrale, disegna l’edificio ad un cieco e lo fa per lui, per mostrargli un qualcosa che egli non ha mai visto, ed al tempo stesso con lui: “Ha trovato la mia mano, quella con la penna. Ha chiuso la sua mano sulla mia. ‘Coraggio, fratello, disegna’, ha detto. ‘Disegna, vedrai. Io ti vengo dietro. Andrà tutto bene’.”

La scrittura di Carver sembra allo stesso modo mostrarci qualcosa che non abbiamo mai visto o che non abbiamo mai potuto vedere. Sappiamo dove siamo mentre leggiamo e, come il protagonista di questo racconto, abbiamo “la sensazione di non stare dentro a niente” ma di avere davanti a noi un qualcosa di fantastico.


Cattedrale-Raymond-Carver-Copertina

Cattedrale – Raymond Carver (copertina)

Scheda Libro

Titolo originale: Cathedral
Titolo italiano: Cattedrale
Autore: Raymond Carver
Prima Edizione: 1983
Editore in Italia: Edizioni minimum fax
Anno: 2002
Traduzione: Riccardo Duranti

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