di Erika Possanza
Dalla finestra del mio soggiorno scorgo, fra le foglie color rosso-arancio, la prima luna del mese. Timida e luminosa mi scruta e mi accompagna in questo silenzio novembrino. Ogni tanto osservo una foglia cadere e di tanto in tanto, a fatica, anche io lascio andare qualche mia lacrima.
I ricordi passati, la vita presente e la paura futura spesso si fanno la guerra e allora, mentre cala la sera, accendo il mio giradischi nero e mi lascio cullare dalle note di un vecchio vinile.
Non avevamo vent’anni ancora eppure avevamo l’impressione di aver vissuto cento, mille, infinite primavere.
Io, Marco, Claudia e Matteo avevamo vissuto i nostri primi vent’anni sempre insieme, mai separati.
Scuola, parco, bar, viaggi con le nostre famiglie, il centro di aggregazione fondato insieme, il giornale della scuola, l’impegno sociale e gli amici. Poi all’improvviso si diventa grandi e si resta soli in una casa in affitto a 175 chilometri da casa, con una coperta di pile poggiata sulle gambe e un PC nero che illumina la stanza buia. Dalle finestre del mio appartamento sento i rumori della città, la frenesia delle auto, dei tram e il treno in lontananza. Quel treno che finalmente, fra qualche settimana, mi porterà nuovamente al paesello come fa da ben 12 anni per passare le vacanze di Natale con i miei amici di sempre.
Mi sembra ancora di sentire le voci, i rumori e gli odori di quel vialetto in fondo a Via della Felicità. Ad ottobre tutto iniziava a tingersi di rosso, arancio, giallo e bordeaux e il profumo di caldarroste e camino acceso invadeva ogni via del paese. Eravamo felici, impegnati e pieni di vita. Nulla ci spaventava e avevamo la certezza che niente sarebbe potuto cambiare.
Finita la scuola superiore arrivano i momenti delle scelte: scelte cariche di ansia, paure, responsabilità e timore di fallire, di non essere abbastanza per qualcuno o qualcosa, di non essere all’altezza. All’altezza di chi? A vent’anni vorresti fare e avere tutto, ma ben presto ti rendi conto che ogni scelta comporta anche la perdita di qualcosa. Qualcuno.
Cresciamo, oggi, con l’idea che sbagliare e cadere siano la più grande vergogna del nostro secolo eppure cadiamo continuamente e, nonostante ciò, nessuno ci insegna che cadere e farsi male fa parte di questo terribile e temibile gioco chiamato vita; nessuno ci aiuta a risollevarci incoraggiando ogni nostro nuovo passo.
Marco dopo il Liceo Classico si è trasferito in Germania e ora è un medico, primario di un ospedale pediatrico. Io e Marco abbiamo investito buona parte del nostro tempo e delle nostre energie per il giornale della scuola e la radio locale. Amico e vicino di casa, da sempre avevamo il grande sogno di partire per l’Africa e documentare tutto. La fotografia e il giornalismo erano le nostre grandi passioni che ci hanno fatti crescere sperimentando ambienti e mondi nuovi. Fin da bambini, nella soffitta dei suoi nonni, avevamo allestito un finto studio di registrazione in cui invitavamo e intervistavamo personaggi famosi, politici, musicisti, fotografi, attivisti.
Oggi Marco ha realizzato parte di quel sogno dedicandosi alle missioni umanitarie insieme ad altri medici e operatori internazionali.
Claudia, la mia super amica, vive a New York ormai da 8 anni e lavora per una prestigiosa rivista di moda. Da sempre adora acquistare una spropositata quantità di abiti, scarpe, borse, cappotti, giacche e non si veste mai seguendo la moda perché da sempre risponde soltanto alla “sua” moda. Bellissima, originale, perfetta, insieme abbiamo affrontato lotte e battaglie non solo per noi stesse in quanto donne, ma anche e soprattutto per difendere e dare voce a chi voce non ne aveva.
Infine Matteo, la persona per cui il mio cuore, da adolescente, si è acceso brillando per un bel po’ di tempo. Un amore puro, vero, tipico di due cuori giovani e impacciati che non avrebbero voluto più lasciarsi. Oggi Matteo vive a pochi chilometri dal nostro paesino di origine ed è titolare di una delle librerie più affascinanti che io abbia mai visto. Era un sogno nel cassetto splendidamente fiorito. All’epoca Matteo era il direttore esigente della redazione scolastica del giornaletto “Il Fiore Rosso” ed io la vicedirettrice più flessibile e simpatica. Insieme abbiamo fatto squadra, nella vita privata e nell’impegno socio-politico, per molto tempo.
Il mese di dicembre per noi era un momento di grandi impegni. Insieme ci occupavamo degli eventi di beneficenza, dei concerti, degli spettacoli di strada e delle luminarie che abbellivano il paese.
Dicembre per noi era il mese migliore per diffondere un po’ del nostro credo: l’impegno cittadino, sociale e civico doveva assolutamente contagiare tutti anche coloro che sembravano più distaccati, cinici e menefreghisti. È risaputo, a Natale si è tutti più buoni. Forse.
Poi all’improvviso cresci e ti accorgi che la sofferenza, l’intolleranza, la violenza e la frustrazione si infiltrano sotto la nostra pelle macchiando indelebilmente il genere umano.
I preparativi per il nostro Natale iniziavano a fine ottobre perché il giorno dell’Immacolata prendevano avvio tutti gli eventi e le manifestazioni curate da noi e dalle Associazioni di paese. Nessuno di noi quattro era credente eppure utilizzavamo il periodo natalizio per diffondere il nostro messaggio di impegno e interesse verso le questioni del mondo che ci affliggevano. Ci sentivamo invincibili.
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Mentre sorseggio una tisana allo zenzero osservo quella linea di luci gialle da interni che avevo accuratamente riposto in uno degli scatoloni del primo trasloco. Incredibile! Ancora funzionano!
Adagiate sulla mensola superiore della camera da letto, quelle antiche luci gialle illuminano ancora le sbiadite fotografie istantanee scattate con la vecchia Polaroid di mio nonno.
Fortemente legata al mio passato, in questa casa di città così asettica non potevo non portare con me un po’ di quei momenti magici e felici in grado di rendere il presente meno angosciante.
Fra i vecchi scatoloni contenenti il mio passato ho ritrovato un piccolo diario Comix in cui scrivevo che il Natale per me era “il momento della condivisione, del dialogo, della passione, della corsa e del sorriso”. Avevo forse 17 anni quando scrissi quelle parole, io e i miei amici credevamo in tantissime cose e seguivamo la nostra fede, la nostra lotta, ma nessuno di noi era cattolico tanto da amare il Natale per la sua valenza religiosa.
Ad un certo punto le nostre vite si sono inevitabilmente separate per seguire passioni, sogni e desideri che ognuno di noi ha contribuito a coltivare nell’altro. Io, Marco, Claudia e Matteo ci siamo sostenuti sempre a vicenda, abbiamo creduto nei nostri sogni e al nostro desiderio di poter cambiare il mondo.
Abbiamo spiccato il volo abbandonando quella parte di vita che ci ha resi ciò che siamo oggi.
Abbiamo abbandonato il nostro nido sicuro promettendoci però di onorare il nostro passato ogni anno e ogni anno, da ben 12 anni, torniamo al nostro paesello nel mese di dicembre per organizzare insieme eventi e manifestazioni per la nostra comunità.
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Seduta nella carrozza di un nuovissimo Freccia Rossa ammiro estasiata la bellezza delle montagne e la maestosità della nostra terra imperfetta, vertiginosa e ferita. Prima di lasciarmi pervadere dalla musica dei Baustelle sento una coppia di amici dietro di me discutere animatamente sulla frenesia del nostro tempo, sulla produttività insostenibile e sull’infelicità generale che forse ci accomuna un po’ tutti. Mi commuovo, rifletto, penso, provo rabbia e mi invade un senso di potenza e impotenza che mi accompagna in realtà ogni giorno. Cosa la nostra generazione può ancora fare per cambiare questo mondo sporco, ammalato, contrastante e affaticato?
La scelta di aver abbandonato il mio posto di lavoro, a tempo indeterminato, mi ricorda la forza che ancora resiste dentro di me, mi ricorda che sono io a scegliere del mio futuro, della mia vita e del mio tempo e tutto questo mi riempie di grinta e nuovo coraggio. All’orizzonte scorgo nuove possibilità, nuove opportunità e nuovi scenari ancora tutti da esplorare. Fin da piccola volevo studiare, fare, sperimentare e iniziare dieci, cento, mille cose diverse per poi perdermi in nuove fisse e nuovi interessi.
Per tutto il mese di ottobre, io e Claudia, ci siamo ritrovate via Zoom ogni sera per organizzare la più grande caccia al tesoro che il nostro paesello potesse mai ospitare. Si terrà pochi giorni prima dell’Epifania e insieme ad una delle associazioni locali abbiamo realizzato una caccia al tesoro solidale per raccogliere fondi destinati ad una comunità per donne vittime di violenza.
In tutti questi anni non abbiamo mai perso i contatti con il tessuto sociale e associativo del nostro paese e spesso lavoriamo a progetti che nascono e crescono nel nostro paese. Anni fa ci siamo ripromesse che le nostre vite professionali non avrebbero mai spezzato le radici del nostro essere e per questo continuiamo a impegnarci affinché -casa- sia un posto felice dove poter crescere, vivere e ritornare.
A circa 40 chilometri dalla mia fermata iniziano a scendere i primi fiocchi di neve e come sempre nulla e nessuno spegnerà l’entusiasmo che provo e la magia che vivo quando il cielo bianco inizia a lasciar cadere i primi fiocchi di ghiaccio.
È il 5 dicembre e ogni viale, ogni strada, ogni casa inizia a prendere vita con le più fantasiose illuminazioni natalizie. Ogni anno il nostro Natale prende vita partecipando ad un concerto di beneficenza organizzato dall’Associazione Renaissance i cui fondi sono destinati all’Ospedale di Comunità presente nel nostro borgo. Quest’anno abbiamo deciso di disattendere la tradizione partecipando all’evento culturale a tema natalizio organizzato da Matteo presso la sua prestigiosa libreria ubicata in uno dei palazzi storici più antichi del suo quartiere, ex sede della Farmacia ottocentesca “La Mandragola”.
Prima di tornare a casa dalla mia famiglia decido di scendere due fermate prima e lasciare del buon vino francese a Matteo, in occasione della serata di giovedì. La fermata si trova a pochi passi dalla libreria e appena scendo i gradini del treno sono inebriata dal profumo di caldarroste che proviene da un baracchino poco più in là. Vedo Fausto indaffarato con il suo barilotto gira castagne e il pentolone pieno di vin brulé e ad un tratto tutte le preoccupazioni sopraggiunte durante il viaggio sono affievolite.
In lontananza sento le voci dei bambini giocare e di tanto in tanto, mentre percorro il viale, mi arriva l’eco dell’album “The dark side of the moon” proveniente dal negozio di musica di Tom, un nostro caro amico che ha vissuto per anni a Brighton per poi essere tornato a coronare il suo sogno: aprire un Vinyl Bar fra le vie di questo splendido borgo medioevale.
Quelle poche foglie rimaste continuano a cadere, canzoni di Natale inondano negozi e vecchie botteghe, le persone si radunano per gli ultimi preparativi e io non vedo l’ora di tornare a casa.
Passo a salutare Tom e mi dirigo verso la libreria “La Mandragola” e un caloroso abbraccio mi avvolge. Dopo qualche chiacchiera iniziale io e Matteo stappiamo una delle bottiglie francesi e ci dilunghiamo per un po’.
Il nostro paese natio dista pochi chilometri, ma nei nostri borghi, anche a distanza di qualche chilometro, ci conosciamo tutti. Il calore, gli sguardi (talvolta pungenti) di una piccola comunità e le persone che incroci da una vita ti fanno sentire finalmente a casa.
Dopo aver preso l’ultimo autobus in circolazione, decido di fare qualche passo in solitaria prima di tornare a casa. Adoro passeggiare lungo le vie del borgo e accogliere ogni profumo, ogni saluto, ogni odore e ogni ricordo che invade la mia solitudine.
Percorro la strada estasiata e nella piazza a destra scorgo le baracche di legno destinate ai mercatini di natale che apriranno ufficialmente l’8 dicembre in occasione dell’accensione del grande albero parlante. Le palline trasparenti con cui è stato addobbato l’albero contengono pensieri, desideri e sogni degli abitanti e dei turisti raccolti durante i mesi precedenti. Come da bambina, il mio desiderio è sempre lo stesso: poter vivere questa magia per sempre.
Sono arrivata al civico 55, faccio un respiro profondo e suono. La mia famiglia mi sta aspettando e io sono felice di poterli riabbracciare. Avevo con me mille buste piene di cibo, regali, vestiti e come da tradizione ogni regalo di Natale viene riposto sotto l’albero che mia mamma, con grande cura e dettaglio, lo realizza con amore sfoggiando ogni anno il suo inconfondibile lato creativo.
Chiudo la zip del mio lungo vestito blu, infilo un tacco 12 e metto il mio rossetto preferito. Controllo il cellulare e finalmente Claudia è arrivata, dopo questi lunghissimi mesi poterla di nuovo riabbracciare è davvero un’emozione fortissima. Siamo dirette all’evento culturale a cui Matteo e il suo staff hanno lavorato da mesi. Libri, meeting, buon cibo, musica, mostre e divertimento assicurato.
A Claudia, osservatrice nata, non è mai sfuggito nulla e dice di aver notato una luce diversa, i miei occhi si sono tinti di un nero opaco mai visto prima. Ho raccontato approfonditamente della mia scelta lavorativa e dei nuovi progetti in cantiere, ma lei ostinata sottolinea che proprio per questo motivo i miei occhi sarebbero dovuti splendere come non mai.
Non so in che modo, ma riesco a cambiare discorso e finalmente, arrivate in Via Morlacchi, troviamo all’ingresso di Palazzo Sperandini, Marco.
Di nuovo tutti e quattro riuniti, come allora, come sempre.
Natale si avvicina e il nostro tempo insieme fugge veloce. I pranzi e le cene con gli amici di sempre, le uscite in baita, le serata passate ad ultimare i preparativi per gli eventi natalizi, le chiacchiere di fronte al caminetto della Sala degli Affreschi a sorseggiare un ottimo Franciacorta e raccontarci le nostre vite che scorrono veloci. La magia del nostro Natale era totale, avvolgente ed elegante eppure qualcosa di diverso si percepiva.
Mentre la mia mente, persa, si era posata su chissà quale pensiero intrecciato e contorto, durante una delle nostre serate, sento Marco schiarirsi la voce in modo strano e tutto d’un fiato ci dice di aver scoperto da poco tempo di essere affetto da una malattia neurologica rara. In quel preciso istante ho come visto spegnersi tutte le luci intermittenti e colorate che circondavano il nostro tavolo. È calato il silenzio, la magia si era rotta e ad un tratto è come se ci fossimo resi conto di essere diventati grandi all’improvviso. Abbiamo fatto domande, abbiamo pianto, abbiamo riso e abbiamo cercato di capire cosa potevamo fare, cosa la medicina e la ricerca potessero fare per lui, medico instancabile e persona incredibile.
Per la prima volta in tanti anni ho avuto la dolorosa sensazione che il periodo idilliaco e fanciullino vissuto finora stava sgretolandosi.
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Fin da ragazzina ho sempre adorato fare regali alle persone a me care, ho sempre preferito farli anziché riceverli. Adoro curare i minimi dettagli di ogni regalo, la tipologia, il biglietto, la carta, il fiocco. Per me è sempre stato un modo per manifestare amore; curare i dettagli di un regalo significa per me avere cura della relazione che c’è con quella determinata persona.
Da un po’ di tempo a questa parte ho iniziato a regalare esperienze, momenti da vivere insieme e avventure da fare perché vorrei regalare del tempo: tempo di qualità, tempo da ricordare, tempo per amare, tempo per vivere.
Sta nevicando, accelero il passo verso via Predotti e mi dirigo verso la Tabaccheria Rossicchi per ritirare i biglietti per il concerto dei Greta Van Fleet. Questo sarà il regalo per mia sorella. Faremo un weekend a Lugano per poi fermarci al concerto tanto atteso. Ne sarà entusiasta.
Anche per mia madre ho optato per un biglietto. Le ho regalato un biglietto per uno spettacolo teatrale alla Scala di Milano.
Ho ancora svariati regali da perfezionare, ma devo concludere in fretta i miei acquisti perché io e Claudia dobbiamo vederci per terminare i preparativi per il “Bacco Natale Segreto”, un evento solidale per adulti in collaborazione con due botteghe equo-solidali del territorio. I fondi raccolti per partecipare verranno destinati alle scuole.
È sera, in paese nevica già da un paio di giorni e di prendere la macchina per spostarsi non se ne parla. Io e Claudia ci diamo appuntamento al bar Turi, ordiniamo e questa volta io non prendo nessun tipo di alcolico per disturbi gastrici. Claudia mi chiede spiegazioni e prima ancora che io rispondessi, con mio grande stupore, tira fuori dalla tasca del suo cappotto il mio test di gravidanza finito ora fra le sue mani. Leggo nei suoi occhi delusione, tristezza e anche preoccupazione. Avrei voluto dirlo quella sera alla Sala degli Affreschi, ma la notizia di Marco mi aveva buttata a terra. Non potevo raccontare in quel momento che avevo scoperto di essere incinta e non potevo neanche dire che Bernard non ne voleva sapere; che dopo 7 lunghi anni se ne era andato di casa. Il test mi era caduto nella sua auto qualche giorno prima, ma aspettavo solo il momento giusto per poterlo raccontare ai miei amici di sempre, per avere il loro conforto, il loro sostegno e il loro amore.
In pochi giorni il castello della nostra favola di Natale andava sgretolandosi. Di colpo le luci avevano smesso di brillare. La realtà è che siamo cresciuti, siamo adulti e quella magia riflessa, forse, rappresentava per noi la paura di diventare grandi e il desiderio di restare piccoli per sempre.
È il 24 dicembre e, dopo ogni cenone che si rispetti, ci siamo ritrovati in paese.
Nevicava, il trenino panoramico era già in azione dal pomeriggio e le vie del centro si affollavano sempre più.
Da piccola la mia famiglia portava sempre me e mia sorella a visitare il Villaggio di Babbo Natale che veniva allestito ogni anno in una parte segreta del Paese e che solo grazie ad un’accurata caccia al tesoro era possibile trovare.
Come ogni anno io, Claudia, Marco e Matteo ci scambiavamo i nostri regali di Natale verso lo scoccare della mezzanotte e andavamo ormai da anni nella casa dei nonni di Marco. Tutto era perfettamente preparato, la casa profumava ci incenso, il fuoco scoppiettante, le coperte rosse di pile e una tavola imbandita di dolci, vino cotto e castagne puntualmente bruciate. Quello per noi era il momento dello scambio regali, una bolla di presente eterno in cui non facevamo avvicinare nessuno. Era il nostro modo per sentirci ancora dei piccoli Peter Pan, un rifugio senza tempo per i nostri segreti, per le nostre paure, per i nostri sorrisi e le nostre lacrime. In quell’atmosfera così avvolgente e così accogliente ho raccontato i miei ultimi 7 mesi di vita. Ho vuotato il sacco, ho pianto insieme a loro e ho provato a inquadrare la mia nuova futura vita. Una vita non in due, ma neanche in tre. Dopo la ferita lancinante di un amore concluso ho dovuto fare i conti con un aborto spontaneo che mi ha svuotata dentro. Ho raccolto ogni briciolo di forza che avevo ancora in tasca e ho rimescolato le carte. Ancora una volta.
Sono le due di notte, usciamo da casa di Marco e ci lasciamo alle spalle il vialetto alberato, la neve bagna i nostri volti, i rumori in lontananza fanno da sottofondo e noi, abbracciati, ci dirigiamo verso Via della Felicità stringendo, ognuno, le chiavi della baita che insieme abbiamo acquistato per un piccolo grande progetto ancora tutto da costruire.
L’autore
Erika Possanza ha 25 anni ed è laureanda in Servizio Sociale presso la Facoltà di Sociologia dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”. Dal 2019 ricopre anche la carica di Assessore comunale presso il Comune di Arcevia, suo comune di residenza. Dall’inizio di questo incarico si occupo di cultura e di politiche sociali di comunità.
Ama leggere, curiosare e da sempre scrive pensieri e riflessioni su taccuini, quaderni e sulle note del cellulare. Con l’incarico di Assessore si è ritrovata più volte a scrivere articoli, post e presentazioni inserite poi in depliant, libri e pubblicazioni varie.
L’universo a dicembre. Racconto di Erika Possanza – Il Cappuccino delle Cinque
di Erika Possanza
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Autore: Erika Possanza