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Martin Amis, figlio di Kingsley Amis (1922-1995, scrittore, poeta e professore di letteratura inglese a Cambridge), fin da piccolo è stato a contatto, attraverso il padre e poi, dopo il divorzio, attraverso la nuova compagna del padre, la scrittrice Elizabeth Jane Howard, con nomi celebri della letteratura mondiale.
Il padre aveva una forte personalità, vicino agli Angry Young men, i giovani arrabbiati, gli anticonformisti degli anni Cinquanta, ma abbastanza presto è passato alla sponda opposta, quella più tradizionalista e conservatrice, con riflessi infantilmente misogini (l’avverbio è ricavabile dai ricordi dettagliati del figlio). Martin Amis, sebbene molto legato al padre, ha invece mantenuto una propria autonomia, manifestando subito una personalità eccentrica, con una vocazione all’ironia e al grottesco che gli ha permesso di attraversare in modo incredibilmente illeso i decenni più ideologici degli anni Sessanta e Settanta.
Nato nel 1949, ha scritto diversi romanzi e racconti inoltrandosi in generi diversi, tanto che la sua opera è impossibile da inquadrare poiché credo che li abbia frequentati tutti, fino alla metaletteratura. Da uno di questi, La zona di interesse, è stata tratto l’omonimo recente film. Ma qui vorrei proporre qualche riflessione su un libro in particolare, forse il suo ultimo poiché è morto l’anno scorso, nel 2023: La storia da dentro, (Inside story) Einaudi 2023.
Qualche precedente
Mi era capitato di leggere un racconto, Career move, Passaggi di carriera, nella traduzione di Massimo Bocchiola (in Cattive acque, Einaudi 2000), un carnevalesco rovesciamento del mondo letterario in cui si racconta di un poeta che riceve anticipi milionari per una sua poesia (un sonetto) e vive come una star del cinema, al contrario di uno sceneggiatore cinematografico che non sa come sbarcare il lunario e svolge altri mestieri mentre cerca disperatamente di vendere una propria opera. Non era un racconto dell’assurdo, era semplicemente distopico, e avrebbe potuto non essere allusivo o soltanto satirico: da qualche parte nel mondo immaginario di Martin Amis le cose potrebbero funzionare così. Di sicuro la narrativa funziona così.
Martin Amis e i suoi maestri
In seguito mi è capitato di leggere un romanzo apertamente autobiografico, Esperienza, (Einaudi 2001), attraverso il quale ho potuto sbirciare, sebbene con la lente distorta dei brillanti eufemismi tipicamente inglesi, il suo romanzo di formazione, e stiamo parlando sia di fatti familiari, a volte divertenti, a volte crudeli e tragici, sia dei rapporti sempre più stretti che stabiliva con scrittori suoi coetanei e con maestri come Saul Bellow. Quando parla di esperienze che, oltre alla satirica prosa paterna, hanno orientato il suo stile (Saul Bellow su tutti, verrebbe da dire, considerata l’esplicita venerazione, ma anche Vladimir Nabokov, Christopher Hitchens, Philip Larkin), non si riferisce soltanto a libri ma soprattutto a persone. Ho pensato che questa sua privilegiata educazione primaria potesse tornare utile per capirlo più a fondo, perché quel qualcosa che distingue Martin Amis, pur nell’eterogeneità delle sue opere, proveniva forse dal bisogno vitale di circoscrivere e differenziare l’originalità della sua scrittura, ben consapevole che per lui era doppiamente necessario, vista la particolare condizione biografica di essere stato allevato e cresciuto all’interno del mondo letterario: rapporti quotidiani, familiari, parentali, e poi esperienze al Times Literary Suplement e New Statesmen.
La storia da dentro
Oppure era semplicemente il suo carattere. Comunque si percepisce una curiosità facilmente vulnerabile e nello stesso tempo un’attrazione quasi da antropologo per tutte le pulsioni libertarie della giovinezza, con una particolarità, considerati gli anni della formazione: che la politica potesse considerarsi come il ghiaccio nel cocktail, si scioglieva subito. Tuttavia in questo libro, La storia da dentro, cominciato nel 2016 all’età di sessantasette anni, si resta piacevolmente colpiti da un evidente stato di grazia che ha un retrogusto dal sapore testamentario.
Per averne un’immagine diretta direi che si tratta di un libro-cocktail. Lo si beve a piccoli sorsi gustandone i molteplici aromi. Questa sua opera potrebbe assomigliare, all’inizio, a un romanzo picaresco tipo Tom Jones, ma l’intento reale – che ben presto viene alla luce – è quello di fare davvero i conti con la propria autobiografia, già descritta in Esperienza. Le numerose note a fondo pagina contribuiscono a fornire un’ulteriore maschera al racconto: quella di uno zibaldone, di un diario e comunque di un racconto ragionato con divagazioni alla Tristram Shandy. Ma prima che quel ghiaccio di cui si parla più sopra cominci a sciogliersi, c’è anche la Storia con la esse maiuscola che si agita in quel liquore limpido dai riflessi ambrati. E non sottovaluterei il sottotitolo italiano: Come scrivere, perché credo che sia la domanda fondamentale che Martin Amis si sia sempre posto: “per un romanziere il guaio del Life-writing è che la vita ha una certa qualità o proprietà che è nemica della finzione. La vita è priva di forma, non va da nessuna parte, non si incentra attorno a nulla, non è coerente. Artisticamente è morta. La vita è morta”. Ma Martin Amis non è Leopardi, non è questo il senso, subito dopo infatti aggiunge: “solo artisticamente. Più terra terra, in termini materiali e realistici, la vita è raggiante e piena di energia, e se ne può solo parlare bene. Poi però la vita finisce, mentre l’arte dura almeno un poco di più”.
Martin Amis, nell’ultimo libro tra invenzione e realtà
La prima parte ha come epicentro il personaggio inventato (e sembra stano chiamarli personaggi visto che per alcuni di loro ci sono anche le foto) di Phoebe, una ragazza più grande di Martin di sette anni, che all’epoca ne aveva 28, all’apparenza tremendamente bigotta e tremendamente imprevedibile perché anche lei imprevedibilmente eccentrica. Martin ne è affascinato ma lentamente affiora un altro mondo dietro i suoi occhi, il mondo nel quale lei era vissuta in precedenza, ombre che la macchiano. Questo personaggio ne rappresenta altri di cui non è stato possibile o non era opportuno parlare in tono autobiografico? Resta il fatto che l’invenzione si salda in modo ipnotico alla realtà. In questo caso, come negli altri che man mano emergono, c’è una difficoltà implicita per lo scrittore che il lettore a volte dimentica: la storia è già scritta. Si trova già nei faldoni della memoria. Se devi descrivere i fatti, quelli ci sono già. Non si presentano tutti in fila, con il loro nitido ordine cronologico ma ognuno occupa una sua casella archivistica che appare e scompare. Le autobiografie funzionano così. Pertanto a volte servono le note a fondo pagina, infatti per quanto accuratamente si cerchi di verbalizzare un insieme di ricordi ogni tanto qualcosa cade fuori, non sta dentro la prosa, ed è necessario aggiungere, in fondo, in basso. Tutte queste cuciture mascherano anche i passaggi dall’invenzione alla biografia.
E con la vita affettiva entra in scena anche quella letteraria: Martin Amis non separa le sue annotazioni sulle opere degli scrittori dagli incontri con gli scrittori stessi, così compare il Philip Larkin della sua infanzia, il Saul Bellow dio della sua giovinezza e il Saul Bellow desolatamente smarrito dall’Alzheimer, il Christopher Hitchens inarginabile anticonformista e polemico e il Christopher Hitchens degli ultimi mesi di vita, e così via. Una biografia porta con sé tante altre biografie. Non saprei dire se mentre scriveva questo libro Amis ne avvertisse il suo neanche troppo sotterraneo sapore testamentario ma il tono è da ultimo libro. E l’ambizione fondamentale, in totale e felice libertà narrativa, è quella di dire: qui ci sono stato io, in prima e in terza persona.
La seconda possibilità
Martin Amis ha scritto che “non hai mai una seconda possibilità di fare una buona prima impressione”. La figura retorica ci fa sorridere, però in effetti è quello che lui cerca di fare con un’opera di 657 pagine, dopo avere già scritto Esperienza. Per opere come questa che evidentemente si propongono di superare i limiti del genere nel quale editori e lettori pensano di inscriverle, cioè l’autobiografia, c’è come una stella polare da seguire: credere fortemente che sia tutto vero anche se forse non è tutto vero e inoltre qualcun altro implicato nelle storie potrebbe raccontarle in modo diverso. E poi l’autobiografia in questo caso serve soltanto per orientarsi e non smarrirsi tra gli episodi, le riflessioni, gli incontri con i personaggi e con i fatti storici che segnano drammaticamente dei periodi e – neanche troppo sotto traccia – il desiderio di intravedere qualcosa di vero e di realistico attraverso l’uso di un linguaggio letterario.
Questi sono libri molto rari, di quelli che si scrivono quando la grazia è con te, quando tutte le esperienze narrative e di vita sono come distillate e vagliate da una mente in grado di danzare liberamente. La tradizione anglosassone è di sicuro un aiuto per Martin Amis, oltre al suo cosmopolitismo, vissuto tra Gran Bretagna, Spagna, Stati Uniti e Uruguay. I suoi ammiccamenti al lettore e l’idea di un ironico romanzo di formazione lo pongono sotto l’ala protettiva del Tom Jones e del Tristram Shandy, ma credo che la fascinazione del racconto picaresco sia prevalente nella prima parte, mentre nella seconda metà il libro diventi invece un epicedio; comunque il tutto appare ben equilibrato dai numi tutelari (non solo metaforici ma reali) di Saul Bellow e Philip Larkin, di Vladimir Nabokov e dell’amico fraterno Christopher Hitchens, mentre molto più contrastato ma ineluttabile appare il suo rapporto col padre, romanziere di successo e professore di letteratura a Cambridge: Kingsley Amis.
Un inno all’amicizia
L’amico, l’impenitente donnaiolo ateo e antiateo Hitchens (l’autore di Dio non è grande) è infine – per tornare alla Storia con la esse maiuscola – una figura che serve a Martin Amis per descrivere pregi e difetti della generazione che ha attraversato il 68, traghettando negli anni successivi i valori dell’antiautoritarismo, la rivoluzione sessuale, la contestazione delle istituzioni, di ogni tipo, religioso o politico, insieme a certe idiosincrasie ereditarie, stranissime in questo contesto ma da non sottovalutare come l’antisemitismo di molti laburisti inglesi. Detto questo, il romanzo è scritto con un’intelligenza compositiva e stilistica fuori dal comune, e le sue valutazioni storiche (la guerra dei sei giorni, l’11 settembre etc.) sono inserite, come promette il titolo, nelle vicende quotidiane, sentimentali, culturali e familiari di uno scrittore noto e apprezzato. Senza dimenticare mai che “uno dei tanti problemi del life-writing è che dà troppo poco da fare al subconscio”. Eppure qui, con lieve e acutissima consapevolezza, a volte afferrando la realtà con le pinzette dell’entomologo a volte in presa diretta, e con dialoghi memorabili, la storia è vista da dentro. E il viaggio dal picaresco all’epicedio è in realtà un inno all’amicizia.
Nell’amicizia è compreso anche il lettore, non solo come compagno di viaggio ma come allievo o collega al quale vengono offerte osservazioni sulla scrittura: le migliori, tutto considerato, sono quelle implicite, perché qui si tratta davvero di un grande libro.
Scheda libro
Titolo: La storia da dentro
Autore: Martin Amis
Casa Editrice: Einaudi 2023
Prezzo: 25 euro
bellissima questa recensione Complimenti a chi l’ha scritta