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“Tifo” è un libro che ricostruisce la storia della passione sportiva in Italia, descrivendo non solo i modi in cui essa si esprime durante le gare, ma andando alla ricerca di quelle manifestazioni che coinvolgono la vita del singolo e della comunità.
Toccando le varie forme di un fenomeno tanto radicato, “Tifo” ci consegna un affresco della società italiana e della sua evoluzione nel corso del Novecento e dei primi venti anni di questo secolo.
Il “tifo” è solo italiano
La parola tifo esiste con questa radice solo nella lingua italiana. Dal greco antico τύφος “fumo, vapore, ma anche offuscamento dei sensi”: è questo il significato che ne ha segnato l’uso per identificare la malattia contagiosa.
Ma quando e perché questa parola è stata traslata dal vocabolario medico a quello sportivo? Qualcuno deve aver pensato che chi si appassiona a un determinato sport perde il controllo di sé come avviene con la malattia. È dopo la Grande Guerra che qualche coraggioso giornalista comincia ad usare tifo in questo contesto.
Negli anni Venti sono perlopiù settimanali che parlano di calcio: “Il Tifo. Settimanale sportivo” esce nel ’25 a Faenza. Nel ’27 il termine compare in un articolo del Corriere della Sera in riferimento a una corsa fra carriole a carnevale e, alla fine degli anni Trenta, “il percorso di accettazione della parola tifo è completato”. Nel ’35 entra nella settima edizione del Dizionario moderno e nel ’39 l’Enciclopedia Italiana lo definisce “passione sportiva accesa e entusiastica, soprattutto in quanto si esprime, in uno stato di eccitazione, con incitamenti, fischi, applausi, ecc. nel parteggiare per una squadra o un atleta durante una competizione”.
Storia del tifo: dalla palla col bracciale agli sport
In effetti, pur mancando una definizione precisa per indicarlo, il fenomeno del tifo parte da lontano. Manifestazioni di entusiasmo simili a quelle che oggi si hanno nelle gare sportive s’intravedono già fra gli spettatori di alcuni “giochi”, di cui si ha traccia in Italia sin dal Cinquecento.
Essi rappresentano l’anello di congiunzione fra i tornei cavallereschi e gli sport moderni,secondo quanto sostiene D. Mandell che paragona “i tornei dell’età medievale” “ai giochi olimpici dell’antichità o alle partite di calcio del Novecento”.
Il più diffuso è la “Palla col Bracciale”.
La partecipazione massiccia costringe a costruire gli sferisteri in cui contenere gli spettatori per evitare incidenti e il pubblico è così accanito che si emanano regole di comportamento: sia consentito applaudire con “evviva e battute di mano”, ma non “offendere” “con fischi e con gesti ingiurianti”.
Antesignani dei cori da stadio sembrano essere i versi con cui i vincenti irridono gli avversari sconfitti: “Fiorentini sguaiati tornate svergognati nell’Arno sulle sponde tuffatevi nell’onde per schivar le fischiate le beffe e le risate dei vostri cittadini cui sciupate i quattrini”.
Emigrazione e riscatto
Il gioco della palla col bracciale è così sentito che qualche emigrato sbarca negli Stati Uniti con “quaranta palloni”.
All’inizio è uno svago festivo, un legame con la patria d’origine e anche un modo per mostrare la propria forza fisica e “sfidare i pregiudizi sugli Italiani” “associati alla delinquenza comune”.
Ma con l’avvento del Novecento “primeggiare nello sport significa non solo far trionfare l’orgoglio della bandiera tricolore, ma anche ottenere un riconoscimento sociale” all’interno della comunità anglosassone.
Gli emigrati italiani sono soprattutto operai, manovali, minatori, carpentieri e contadini ed è la boxe il primo sport in cui emergono.
Kid Dinamite (Aldo Spoldi), Rocky Graziano, Toro scatenato (Jake La Motta), Rocky Marciano diventano vere e proprie leggende, pur avendo alle spalle situazioni di delinquenza o legami con la malavita. Primo Carnera, friulano emigrato in Francia, diventa un simbolo per la propaganda fascista.
L’integrazione vera negli Stati Uniti arriva, però, quando gli emigrati cominciano a emergere negli sport prettamente americani, quelli che si imparano al college, come il baseball: fra tutti Joe Di Maggio sembra riscattare l’ideale del sogno americano, soprattutto dopo il tragico episodio di Sacco e Vanzetti.
In Europa sono le vittorie degli Italiani in bicicletta e della squadra di calcio a dare morale agli emigrati, come spiega Gimondi in riferimento alla vittoria della Parigi-Roubaix “la cosa che mi è rimasta impressa è l’urlo della gente quando sono arrivato” perché “per loro era una rivincita morale” o come mostra il film con Nino Manfredi “Pane e Cioccolata”, in cui il protagonista dopo vari tentativi di integrazione esulta per la vittoria della nazionale di calcio.
Il tifo e l’amore, oggetto di interesse e di giudizio
In seguito arrivano gli anni in cui gli atleti diventano veri e propri eroi e in cui, come sostiene Roland Barthes, il divismo dal mondo del cinema passa a quello dello sport.
Allora “tutto diventa oggetto di interesse da parte dei popolo dei tifosi” che osannano e relegano i propri beniamini “al confine fra vita e sogno”, al limite del soprannaturale: ma a quel punto essi diventano modelli e, come tale, non possono sbagliare; la loro vita, compresa quella privata, è “passata al setaccio”.
Guai a un calo di rendimento o a un atteggiamento che possa turbare la morale comune. Caso più eclatante è quello di Coppi negli anni Cinquanta, “rifiutato dallo stesso pubblico di tifosi che fino a poco prima lo adorava”e definito da Giorgio bocca “un ex idolo di un paese volubile”.
In quell’Italia in cui l’adulterio è un reato, la relazione fra Coppi e Giulia Occhini, entrambi sposati, viene severamente condannata.
Sorte opposta tocca invece al pugile francese Marcel Cerdan quando si lega alla cantante francese Edith Piaf: nonostante egli abbia tre figli, ha la “solidarietà incondizionata dei tifosi” e la Francia vede nel loro sodalizio una leggenda, in cui la gloria sportiva si lega a quella artistica.
Dagli anni Settanta anche in Italia le schermaglie amorose degli sportivi non creano più “sconvolgimenti nel panorama affettivo” dei tifosi perché nella società si è avviato un “processo di modernizzazione di segno laico” e oggi le relazioni “sovrabbondanti e squadernate” non scandalizzano perché sono alla portata di tutti e non più licenza solo dei pochi privilegiati.
Il lutto e il tifo: un palpito di un sogno infranto
Oltre alle vicende amorose, Coppi e Cerdan hanno un destino che li accomuna: muoiono giovani in circostanze tragiche, malaria non riconosciuta il primo, incidente aereo il secondo.
Questo fa di loro degli eroi immortali. Come diceva Menandro “muor giovane colui che al cielo è caro” o come canta Guccini “gli eroi sono tutti giovani e belli”.
Ma c’è un evento che rappresenta “il primo vero dolore collettivo del dopoguerra”, che è lo schianto dell’aereo contro la collina di Superga con a bordo la squadra del Torino: “anche chi non sa di sport”, “la donnetta” e “l’intellettuale”, in quel giorno “si sono sentiti stringere il cuore”.
Il giorno del funerale in una città di 700 mila abitanti se ne contano 500 mila salutare il corteo funebre; “La Stampa” scrive di “un palpito di un sogno infranto”. Il riscatto che le vittorie di quella squadra dopo la seconda guerra mondiale avevano significato per migliaia di persone viene azzerata.
Il lutto e il tifo sono incondizionati e, forse, è proprio a partire da quell’evento che l’attenzione degli italiani comincia a spostarsi dal ciclismo al calcio, che a distanza di pochi anni diventerà lo sport nazionale.
Storia e storie
I due autori di “Tifo. La passione sportiva in Italia” hanno la capacità di annullare il divario che esiste fra la Storia dei grandi eventi dell’umanità e le storie dei singoli, testimoni e spesso vittime di quegli stessi eventi.
C’è un capitolo, ad esempio, dedicato alle lettere dei tifosi ai loro idoli: nelle richieste (biciclette, scarpini da calcio, palloni) e nei racconti, “quante corse ho fatte per andare ad ascoltare la Radio all’ora del giro! Io non ho la fortuna di possedere una radio perché babbo è operaio e siamo nove figli” emerge il ritratto di un Paese povero, carente di infrastrutture sportive, spesso diviso, che sublima i propri eroi sportivi.
Oppure nel racconto dell’episodio della tappa del Giro del ‘46 Rovigo-Trieste, mentre a Parigi sono in corso “le trattative per decidere” “la spartizione dei territori di confine fra Italia e Jugoslavia”, con incidenti e scontri fra italiani, titini e sloveni, si avverte la tensione ancora calda fra vincitori e vinti e fra le diverse ideologie politiche.
In questo modo la Storia abbandona la sua sfera nozionistica e scolastica e si rende più fruibile e appassionante, attingendo dal quotidiano e partendo da qualcosa di familiare e conosciuto, che ogni lettore ha più o meno vissuto o ascoltato.
Titolo: Tifo. La passione sportiva in Italia
Autore: Daniele Marchesini Stefano Pivato
Editore: Società editrice il Mulino, 2022