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Autumn leaves. Racconto di Walter Colaiacomo

di Walter Colaiacomo

Al commissariato, in attesa di essere interrogato, il maggiordomo della contessa Donna Flo, trovata morta da lui nella piscina quella stessa mattina, mormora una musica e pensa:
Triste? No, leggero e inesorabilmente malinconico come il respiro che trasuda dalla tromba di Chet. È nell’incessante e sfuggente ritorno a te Ginevra.
In fondo c’era da aspettarselo prima o poi, la contessa non brillava certo per sensibilità, basti pensare a come trattava le due nipoti, mai un sorriso o un abbraccio. Non accettava che il loro tenero sbocciare corrispondesse al tono della sua voce avvizzente. Però appena un mese fa si era fatta scappare quella confidenza sul testamento: le aveva designate come uniche eredi. Chissà se era vero oppure un’altra delle sue perfide manipolazioni?
E il giardiniere? Pronto sempre a rallegrarle il corpo lo aveva illuso di chissà cosa per tenerlo sempre a guinzaglio come un servo docile; o sua moglie, la cameriera? Donna gentile e disponibile a cui quella volta aveva addirittura rifiutato un permesso per andare al capezzale della madre che morì la sera stessa.
C’era anche Leo, il nipote, irrecuperabile, sempre a chiedere i soldi in prestito a chiunque per le sue scorribande acide, schiavo del gioco d’azzardo.

Chissà quali subbugli avesse dentro quella donna, perché si dedicasse con tale passione alla molesta liturgia della meschinità delle sue giornate che spesso finiva bevendo miserie.
I ricchi, molte volte, educati al sempre dovuto, crescono senza l’umiltà delle poche cose, poi, non capendo come, sentono una mancanza profonda di vita, allora scimmiottando le tragedie si lusingano nella recita di una parvenza di verità riuscendo solo a illuminare l’ombra di una luce sguaiata.

Per fortuna avevo deciso di andare in pensione e non sarebbe stato più necessario dover respirare l’inutile. La copertura, comunque, era stata molto efficace, mai un sospetto, mai un dubbio sul maggiordomo integerrimo e sempre affidabile di quella nobildonna mondana in esercizio continuo di vanità e vaghezza, coronata da ministri, attori e cantanti patetici alla ricerca di un nuovo capo da adorare come parassiti insolenti, soggetti ideali per adornare rozzi pagine di giornali vani e ore caotiche di trasmissioni tracotanti.
Si un’ottima copertura che mi ha permesso di rispondere sempre alle attese eseguendo il lavoro senza nessun intoppo e diventare così il killer più richiesto per i casi particolarmente delicati.

Poi un giorno Ginevra, la sua giovane e discorde amica, diversa da tutti loro. Solo lei, fin dall’inizio, aveva notato qualcosa di ambiguo nel mio modo di guardare, le prime parole che mi rivolse quando ci conoscemmo lo scorso autunno furono “Non sembri un maggiordomo”, “e tu non sembri di questo mondo” pensai. Colore ambrato, occhi caldi, voce irresistibile. Volli assaporare il suo sangue in ebollizione e lei volle donarmelo.
Finì con lacrime inaspettate, c’eravamo penetrati, eravamo diventati l’uno per l’altro l’ingrediente perfetto. La contessa ci aveva messo del suo per far finire la storia. Non permetteva a nessuno che le girasse intorno di avere altra attenzione se non lei stessa, fu colpita da brividi di gelosia per qualcosa che non sapeva vivere.
Avrei dovuto lasciare tutto? Si sono stato un codardo, ma un killer non osa usare il cuore.
Urtai violentemente contro la mia filosofia del distacco; niente legami, l’altra sarebbe comunque stata in pericolo e poi avrei dovuto avere dei segreti con chi non si dovrebbero mai avere.
Mi ero esercitato per lungo tempo a non vivere l’amore.
Con Ginevra, però, fu impossibile, avevo iniziato a farlo e anche senza di lei continuavo, per questo avevo deciso di andarmene in pensione e provare a immaginare di andarla a scovare nella sua New York.

Bene il prossimo sono io finalmente.
Rimetto per l’ultima volta insieme i pezzi, per evitare indugi che possano alimentare sospetti e per un’ultima volta sarò un devoto maggiordomo.

Allora, la festa si era svolta con le stesse modalità: una prima parte più calma dove si consumano cibi e bevande e gli ospiti si squadrano per contarsi nel solito atto orgiastico di autocompiacimento credendo di far parte di un gruppo eletto, poi l’accelerazione a base di droghe e musica sterile, in un impeto di tuffi in piscina, stridii di voci, amplessi simulati e altri goduti, collassi e pianti coreografici. Infine i saluti e il giro di ricognizione per la raccolta dei resti umani. La contessa non si era mai allontanata dalla piscina, figuriamoci non avrebbe mai lasciato a nessuno il centro della festa.
Per tutto il tempo non mi era capitato di notare nessuna dissonanza dalle banali stravaganze, fino alle quattro del mattino, quando, nell’abituale giro di controllo nel giardino, da dietro una siepe, riconosco le voci delle sue nipoti e una frase pronunciata con un sonoro allarmato che dice: “Non puoi farlo!”, ma non sono riuscito a distinguere chi delle due fosse avendo voci quasi identiche. Poi alle cinque, ne sono certo, perché ho guardato il mio orologio, succede tutto il resto.
Dopo che avevo scaricato l’ultimo strafatto nella sua macchina eccessiva, vado in cucina dove mi aspettano tutti i camerieri per essere pagati e liberati, dalla cucina mi dirigo verso la piscina per attivare l’impianto di filtrazione e attraversando il salone incontro il giardiniere con la camicia completamente zuppa che mi guarda aggrottando le ciglia, seguito dalla moglie che, tenendosi una mano sulla bocca, lo spinge per aumentare l’andatura affrettando quella che sembra essere una fuga impacciata. D’istinto accelero il passo ed esco sul terrazzo che anticipa la piscina, al centro vedo un corpo che galleggia e sul bordo opposto in ginocchio Leo che si alza, mi vede e impaurito scappa verso l’uscita della villa.

È la contessa riversa al centro della piscina. Corro, mi tuffo e mentre mi avvicino mi pare di scorgere piccole bolle dalla bocca e un guizzo degli occhi come se mi avvertisse, ancora ha residui d’ossigeno.
È stato un attimo. Mentre la prendo per andare verso il bordo, leggero e definitivo immergo il suo capo, poi la tiro fuori dall’acqua e ormai non c’è più niente da fare se non chiamare un’ambulanza e la polizia. Intanto albeggia in un’atmosfera di calma sorda e decido di immergere nell’oblio anche l’ultima circostanza.

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“È lei il maggiordomo?” “Sì”
“Si accomodi”
Così Rick si alza e avanza verso la stanza del commissario sfiorando la tasca della sua giacca dove prima ha infilato un biglietto aereo, e stringe a sé un pensiero improvviso:
“L’estate finirà e sarà di nuovo autunno”.


L’autore

Walter Colaiacomo è originario di Segni in provincia di Roma. Appassionato di lettura, musica e cinema ogni tanto si dedico alla scrittura per appuntare le storie che incontra. È un allenatore di Rugby e da qualche anno riveste il ruolo di direttore tecnico della squadra del Fano Rugby. Il Rugby è il suo punto d’osservazione privilegiato, il suo habitat ideale che prova a rendere reale.


Autumn leaves. Racconto di Walter Colaiacomo – Il Cappuccino delle Cinque

di Walter Colaiacomo

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Autore: Walter Colaiacomo

Pubblicato in Racconti.

3 Commenti

  1. Che dire!! caro cugino un racconto bellissimo la cosa bella in queste poche righe e come sei riuscito a farmi entrare nel racconto e viverlo ..bravo sono orgogliosa di te.

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